Piazza Armerina - Noto - Siracusa - Tragedie Greche - Palermo
Categoria:
Educational
Adatto a:
Studenti delle Scuole, Viaggi Evento
Inizio: 01/01/2026 Fine: 30/06/2026
![]()
Nel grandioso Teatro Greco di Siracusa, gli studenti avranno l’occasione di assistere a una delle grandi tragedie del mondo classico: Antigone di Sofocle.
Sarà un’occasione unica per vivere dal vivo l’emozione del teatro antico, calandosi non solo nel mito, ma anche in un luogo carico di storia, bellezza e significati profondi.
Antigone è una delle tragedie più celebri di Sofocle, scritta intorno al 442 a.C., periodo di grande splendore culturale per Atene. In questi anni la città vive un fermento politico e intellettuale straordinario: l’epoca di Pericle, di Fidia, di Euripide e dello stesso Sofocle.
La tragedia appartiene al ciclo tebano, quello che ruota intorno alla dinastia dei Labdacidi — la stessa famiglia di Edipo, padre di Antigone.
Dopo le vicende tragiche di Edipo, che inconsapevolmente uccise suo padre Laio e sposò sua madre Giocasta, la città di Tebe viene sconvolta da una nuova guerra fratricida: Eteocle e Polinice, i due figli maschi di Edipo, si contendono il trono. Lo scontro si conclude con la morte di entrambi, trafitti l’uno dall’altro davanti alle mura della città.
È in questo scenario che prende avvio Antigone: un’opera che, pur scritta venticinque secoli fa, tocca ancora temi universali — il conflitto tra coscienza individuale e potere, tra legge divina e legge umana, tra ragione di Stato e pietà familiare.
Dopo la guerra dei Sette contro Tebe, Creonte, nuovo re e zio dei figli di Edipo, emana un editto durissimo: Eteocle, difensore della patria, sarà sepolto con tutti gli onori; Polinice, considerato traditore per aver attaccato la città, resterà insepolto, lasciato in pasto ai corvi e ai cani.
In Grecia, il mancato rito funebre non era una semplice punizione, ma una condanna eterna dell’anima: senza sepoltura, il defunto non poteva trovare pace nell’Ade.
Antigone, figlia di Edipo e sorella dei due caduti, non può accettare una simile ingiustizia. La sua pietà filiale e il rispetto per le leggi “non scritte” degli dèi sono più forti del timore verso le leggi del re. Decide, dunque, di disobbedire e di seppellire il corpo di Polinice, nonostante l’editto e la minaccia di morte.
La sorella Ismene, più prudente e timorosa, tenta di dissuaderla, ma Antigone è inflessibile: compie il rito funebre e viene scoperta dalle guardie. Portata davanti a Creonte, non nega nulla e difende la propria scelta con parole di straordinaria dignità.
Ne nasce uno dei dialoghi più potenti della storia del teatro: da una parte il sovrano convinto che l’ordine dello Stato sia sacro, dall’altra una giovane donna che afferma la supremazia della coscienza morale su ogni autorità terrena.
Creonte, accecato dall’orgoglio e dal timore di apparire debole, condanna Antigone a essere murata viva in una grotta. Né l’intervento del figlio Emone — promesso sposo di Antigone — né le profezie del vecchio indovino Tiresia riescono a fargli cambiare idea.
Solo troppo tardi Creonte comprende l’errore: quando decide di liberarla, Antigone si è già tolta la vita. Di fronte al suo corpo, anche Emone si uccide, seguito poco dopo dalla madre Euridice, che si suicida maledicendo il marito.
Il dramma si chiude con Creonte distrutto, vittima del proprio orgoglio e della rigidità delle sue leggi. La città, simbolicamente, riconquista la pietà attraverso la morte degli innocenti.
È il nucleo centrale dell’opera. Creonte rappresenta il potere dello Stato, la legge degli uomini, necessaria per mantenere l’ordine e l’autorità. Antigone incarna invece la legge del cuore, la legge divina che impone di onorare i morti e rispettare la pietà familiare.
Sofocle non fornisce una risposta netta: il dramma nasce proprio dall’impossibilità di conciliare due principi entrambi giusti ma inconciliabili. Lo spettatore è invitato a riflettere su quanto l’obbedienza cieca alle leggi possa trasformarsi in ingiustizia.
Creonte commette la tipica hybris della tragedia greca: la tracotanza dell’uomo che si crede superiore alle leggi divine. È convinto che il suo potere basti a determinare il giusto e l’ingiusto. Ma la tragedia lo punisce con la solitudine e la perdita di tutto ciò che ama.
Antigone, a sua volta, non è priva di orgoglio: la sua inflessibilità la rende eroina e vittima allo stesso tempo. Sofocle costruisce così un equilibrio perfetto tra colpa e destino, dove ogni personaggio è al tempo stesso giusto e tragico.
Antigone è una figura straordinariamente moderna: donna giovane, senza potere, che osa sfidare un uomo e un re in nome della propria coscienza.
In una società patriarcale come quella greca, la sua ribellione assume un valore simbolico enorme: è la voce dell’individuo che resiste di fronte al potere assoluto, la rappresentazione della forza morale femminile che emerge dal silenzio.
La sua disobbedienza non è anarchica, ma etica: nasce da un profondo senso di giustizia.
Come in tutte le tragedie del ciclo tebano, anche in Antigone il destino sembra governare la vita dei personaggi. I figli di Edipo sono segnati da una maledizione che li porta inevitabilmente alla rovina. Tuttavia, Sofocle introduce una riflessione nuova: i protagonisti scelgono comunque le proprie azioni.
Antigone sa che morirà, ma non rinuncia al proprio gesto; Creonte è libero di perdonarla, ma decide di non farlo. In questo modo, la tragedia diventa una profonda meditazione sulla responsabilità morale e sulla consapevolezza delle proprie decisioni.
Creonte rappresenta anche la condizione del governante: un uomo solo, divorato dal senso del dovere e dall’ossessione per l’ordine. Il suo errore non è tanto l’editto in sé, quanto l’incapacità di ascoltare, di dialogare, di accogliere la pietà.
Sofocle ci mostra come il potere, se privo di empatia e di misura, diventa cieco e autodistruttivo — un tema ancora attualissimo in ogni epoca politica.
Il coro nella tragedia greca non è un semplice commentatore, ma il riflesso della coscienza collettiva. In Antigone assume il ruolo di testimone e di giudice morale: a volte comprende la pietà di Antigone, altre si schiera con Creonte per timore del caos.
Attraverso il coro, Sofocle restituisce la complessità del pensiero umano, diviso tra obbedienza e compassione, tra paura e coraggio.
Assistere a una tragedia greca al Teatro Greco di Siracusa non è soltanto un’esperienza teatrale: è un rito collettivo, un incontro tra passato e presente, dove la parola di Sofocle rinasce sotto il cielo siciliano, nello stesso spazio che duemilacinquecento anni fa accoglieva gli spettatori ateniesi.
Le produzioni dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) reinterpretano ogni anno i testi classici con una sensibilità moderna: nuove traduzioni, scenografie simboliche, contaminazioni musicali e regie che cercano di attualizzare i messaggi universali del mito.
Durante lo spettacolo, gli studenti potranno notare come linguaggio, corpo, musica e luce si fondano per creare un dialogo fra l’antico e il contemporaneo.
Il compito è osservare non solo cosa viene detto, ma come viene espresso: ogni gesto, silenzio, colore o suono ha un significato preciso e comunica emozioni oltre le parole.
Le regie recenti dell’INDA spesso attualizzano Antigone collegandola a temi sociali e civili contemporanei:
Durante la visione, prova a chiederti:
- Che cosa vuole dirci oggi Antigone?
- Cosa rimane universale del suo messaggio, e cosa cambia con la sensibilità moderna?