HSG Educazione Ambientale

Il contest tematico sul'Educazione Ambientale per gli studenti delle scuole superiori italiane

Categoria: Educational
Adatto a: Studenti delle Scuole
Inizio: 18/03/2024 Fine: 24/03/2024

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Dissesto idrogeologico

Dissesto idrogeologico

Cosa significa dissesto idrogeologico, quali sono le cause artificiali e naturali e qual è la situazione attuale italiana.
Con il termine dissesto idrogeologico si intende tutta quella serie di processi morfologici che svolgono un’azione distruttiva sul suolo, portandolo alla degradazione. Sono fenomeni che ne provocano si la distruzione, ma non sempre nello stesso modo. Il dissesto idrogeologico può avvenire a causa dell’erosione, ma anche alluvioni e frane.
La causa comunque non è da ricondurre sempre e soltanto all’uomo. Sono tanti i fattori che intervengono, sia naturali che artificiali. Tra le cause naturali troviamo:
Geomorfologia del suolo

  • Geomorfologia del bacino idrico
  • Condizioni atmosferiche
  • Pendenza del suolo
  • Copertura di piante

E’ vero però che le cause naturali sono molto spesso condizionate dall’uomo. Pensiamo al clima avverso, i cambiamenti climatici di oggi sono stati fortemente influenzati dall’essere umano. La copertura vegetale a sua volta viene compromessa dall’urbanizzazione. In Italia questo fenomeno è sempre più sentito.


Cause artificiali

Ci sono poi le cause artificiali. Tra le cause correlate in modo stretto all’attività svolta dall’uomo troviamo per esempio gli argini, le opere idrauliche, le briglie, gli invasi… Non dimentichiamoci poi dell’uso che viene fatto del suolo e anche la presenza di alcune opere agricole ha sicuramente incentivato il dissesto idrogeologico.

A tutto questo si aggiunge l’impermeabilizzazione del suolo per aumentare la realizzazione di case e strutture necessarie per l’urbanizzazione.

Le cause perciò sono tante e spesso si intrecciano tra di loro. Se è vero che l’alluvione può essere una causa naturale, essa diventa effettivamente pericolosa perché va a interagire con le strutture messe in piedi dall’uomo. Il dissesto idrogeologico va chiaramente evitato, ma per farlo vanno rimossi anche i fattori di rischio


Sistema Vetiver

Erosioni, frane e alluvioni in molti luoghi vengono prevenuti grazie al sistema Vetiver. E’ la tecnologia verde a oggi più promettente. Il vetiver è una pianta e ne viene sfruttata la crescita dell’apparato radicale, il quale è davvero molto profondo e può arrivare fino a 5 metri. La crescita poi è molto veloce, le radici sono resistenti e fitte, sia in terreni basici che acidi.

In pratica le radici del vetiver svolgono un’azione anti-erosiva eccellente. Nell’ingegneria naturalistica è molto utilizzata per rendere quasi immune un terreno all’erosione. Sono usate sugli argini di torrenti e fiumi per proteggerli.

In Italia molte città la utilizzano e sono riuscite a contenere il problema del dissesto idrogeologico. Aiuta anche a contenere l’inquinamento di suolo e acqua. Il vetiver viene utilizzato anche nel campo dell’energia così da produrre il carburante nelle centrali elettriche a biomassa.


In conclusione

Per concludere il discorso del dissesto idrogeologico, c’è da dire che in Italia la situazione è fortemente peggiorata negli ultimi decenni. Questo si deve alla cementificazione sfenata che ha portato il territorio italiano a una soglia di vulnerabilità ben superiore.

Il surriscaldamento globale poi fa aumentare i nubifragi perché il riscaldamento globale fa evaporare l’acqua degli oceani e questa torna giù con la pioggia.


Dissesto idrogeologico: cause e soluzioni

Consumo di suolo e cambiamenti climatici stanno incrementando il rischio di dissesto idrogeologico in Italia. Ma le soluzioni ci sono e ci si sta investendo.
Quali sono le cause dei fenomeni calamitosi che colpiscono il nostro territorio? Quali le aree a maggiore rischio? E cosa si sta facendo in termini di misure di mitigazione e prevenzione?

Le colpe dell’uomo

L’Italia è un territorio fragile e particolarmente esposto al pericolo di frane e alluvioni. La principale causa risiede nella natura geologicamente giovane del nostro paese, caratterizzato da versanti acclivi, forti dislivelli e corsi d’acqua con un regime per lo più torrentizio e particolarmente soggetto a fenomeni di magra e di piena. Alla propensione naturale del territorio si è aggiunta poi l’azione dell’uomo. Dopo l’abbandono delle aree montane e la conseguente mancanza di manutenzione dei versanti si è verificata una cementificazione diffusa e una impermeabilizzazione del territorio, che ha incrementato e continua a incrementare l’entità del deflusso superficiale a discapito dei processi di infiltrazione. L’intensa urbanizzazione, sviluppatasi senza tenere in considerazione le aree fragili dal punto di vista idrogeologico e sismico, ha determinato un incremento delle condizioni complessive di rischio. Come se non bastasse negli ultimi anni i cambiamenti climatici stanno provocando un aumento dell’intensità e frequenza delle precipitazioni, ampliando le aree soggette ad alluvioni e frane e la gravità dei fenomeni.

I dati del dissesto idrogeologico

In base ai dati del 2015 diffusi dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono 7 milioni gli italiani che vivono in aree a rischio idrogeologico. Si tratta del 12% della popolazione totale, che risiede nell’88% dei Comuni, esposti al pericolo di frane e alluvioni.? Di questi 7 milioni ‘a rischio’, circa 1 milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (P3 e P4) e 6 milioni in zone alluvionabili classificate a pericolosità idraulica media P2.

Le regioni più fragili sono Valle D’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata, dove il 100% dei comuni è a rischio idrogeologico. Calabria, Provincia di Trento, Abruzzo, Piemonte, Sicilia, Campania e Puglia hanno invece più del 90% dei comuni a rischio.

Cosa bisognerebbe fare…

All’indomani dei disastri è consuetudine tornare a ribadire le azioni che sarebbero necessarie per arginare o eliminare del tutto il rischio in futuro. Le misure prioritarie, secondo l’Enea, in parte condivise anche da Legambiente, riguardano: lo sviluppo di sistemi di monitoraggio dei dati meteoclimatici; il sostegno economico a studi sulla pericolosità e sul rischio condotti dalle Autorità di Bacino (ora di Distretto) e contenuti nei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI); il miglioramento del recepimento delle indicazioni di rischio contenute nei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) da parte degli strumenti di pianificazione territoriale; lo sviluppo strumenti di monitoraggio dei costi della difesa del suolo in termini di inazione, di gestione delle emergenze e di gestione sostenibile (manutenzione, messa in sicurezza, monitoraggio), oltre a un’opera di sensibilizzazione, di riconversione delle aree montane e a una delocalizzazione degli insediamenti maggior rischio.

…e cosa si sta facendo

Negli ultimi anni, in realtà, si sta superando quell’immobilismo sul fronte della gestione del rischio che ha per decenni caratterizzato il nostro paese. Gli strumenti ci sono, le possibilità tecniche ed economiche per attuarli anche, quindi si spera che si possa nel breve mettere in atto un piano organico e concreto. Quello presentato con il Rapporto Manutenzione Italia 2016 – Azioni per l’Italia sicura dell’Associazione nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e Acque Irrigue (Anbi) realizzato con #italiasicura, prevede 3.581 interventi per la riduzione dei rischi da dissesto idrogeologico per oltre 8 miliardi di euro. Rispetto a tutti i piani proposti da Anbi negli anni precedenti, quello del 2015, riaggiornato in vista della Legge di Stabilità, sembra molto più concreto, a partire dal fatto che vengono proposti solo interventi immediatamente cantierabili e mirati a risolvere criticità ben individuate.

Si tratta perlopiù di manutenzioni straordinarie delle opere di bonifica, di sistemazioni idrauliche, di ripristino di fenomeni di dissesto nei territori, in cui operano i consorzi. E riguardano: lavori di adeguamento e ristrutturazione di corsi d’acqua; lavori di manutenzione straordinaria di adeguamento della rete di bonifica, delle quote arginali e delle idrovore e di realizzazione di canali scolmatori; interventi di manutenzione sul reticolo idraulico a difesa dei centri abitati; realizzazione di opere per la laminazione delle piene e, infine, lavori di stabilizzazione delle pendici collinari e montane. A questi interventi straordinari deve conseguire una manutenzione ordinaria svolta dai consorzi.

Il Piano si affianca poi a una serie di misure che stanno prendendo piede. Dopo l’istituzione, a giugno 2014, della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la presidenza del Consiglio dei ministri, si è arrivati al Piano ‘Casa Italia’, che comprende un pacchetto di interventi con orizzonte pluriennale (10-20 anni) per l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio, per la riqualificazione del costruito e per la riduzione del rischio idrogeologico. Altro passo importante è stato compiuto con l’approvazione del ‘Collegato ambientale’ (legge n. 221/2015) che, recependo le direttive europee in materia (2000/60 e 2007/60), ha istituito le Autorità di bacino distrettuali, enti pubblici non economici che seguono i criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità per lo svolgimento delle proprie attività.

Concludendo, c’è ancora molto da fare e soprattutto da recuperare ma se si riusciranno ad unire in modo proficuo le competenze che non mancano a una visione concreta di pianificazione degli interventi potrebbero finalmente arrivare dei risultati in tempi certi.