HSG Bullismo e Cyberbullismo

Il contest tematico per la lotta al Bullismo e Cyberbullismo rivolto agli studenti delle scuole superiori di tutta Italia.

Categoria: Educational
Adatto a: Studenti delle Scuole
Inizio: 25/03/2024 Fine: 31/03/2024

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Casi significativi di Cyberbullismo

Casi significativi di Cyberbullismo

Il caso di Carolina Picchio - Novara (fonte: La Repubblica, Torino, it – 25 maggio 2013)

Pensavano di essere spiritosi, non si rendevano conto che umiliandola su Facebook la stavano uccidendo. Carolina Picchio, 14 anni, la sera del 5 gennaio scorso ha deciso di lasciarsi cadere dal terzo piano di casa perché stanca di essere derisa dal gruppo di amici che qualche settimana prima aveva postato un filmato che la ritraeva ubriaca e in loro totale balìa. Una morte su cui ora indagano due procure: quella di Novara, che ha aperto un'inchiesta su Facebook per diffusione di materiale pedopornografico, e quella dei Minori di Torino, che ha iscritto sei ragazzi (quattro di 15 anni, uno di 14 e uno di 13) tra cui l'ex fidanzatino di Carolina, nel registro degli indagati con accuse pesantissime. Per l'ex della giovane, che ha 14 anni, il pm Valentina Sellaroli ha ipotizzato il reato di "morte come conseguenza di altro reato". Gli altri cinque sono invece accusati di violenza sessuale di gruppo e diffusione di materiale pedopornografico, ma uno di loro condivide la stessa accusa mossa all'ex fidanzato.

Il magistrato ha ordinato il sequestro dei loro iPhone, affidati agli esperti del Politecnico di Torino perché ritrovino il filmato postato su Facebook e cancellato dopo la morte della ragazza. Di certo la tragedia di Carolina nasce e si sviluppa tutta sui social network. L'inchiesta prende l'avvio dai tweet che la mattina dopo il suicidio della quattordicenne rivelano le umiliazioni patite dall'ex fidanzato e dai suoi amici. "Guardate che Carolina si è suicidata per colpa di chi la sfotteva" scrive il 6 gennaio Djstrought.
In poche ore arrivano 2600 messaggi che confermano quell'accusa. Nella cameretta di Carolina gli investigatori trovano poi biglietti senza data ma dal significato eloquente. Uno è indirizzato a Talita, una delle due sorelle: "Mi dispiace, non è colpa di papà ma non ce la faccio più a sopportare". L'altro, all'ex fidanzato: "Non ti basta quello che mi hai fatto? Me l'hai già fatto pagare troppe volte ".

Frammenti di una storia di amore e rabbia che il procuratore capo di Novara, Francesco Saluzzo, ricostruisce con pazienza. Per capire il tragico salto dalla finestra del terzo piano, il magistrato deve tornare indietro nel tempo. A giugno, Carolina lascia Oleggio, il paesino dove vive con Leite Colla, la madre brasiliana, per trasferirsi nel quartiere Sant'Agabio, il Bronx di Novara, a casa del padre, Paolo Picchio, un tempo dirigente della De Agostini, un uomo che la vita continua a maltrattare. Unico sopravvissuto con un fratello all'incidente mortale in cui sono scomparsi i genitori e altri due fratelli, ha già visto morire un figlio e la prima moglie. In più ha già perso il posto per una torbida storia di ammanchi. Carolina va a vivere con lui, ma continua a studiare a Romentino, vicino a Novara. Nel frattempo conosce un ragazzo, ma ai primi di novembre la storia è già finita e lo lascia.

Lui non accetta quel rifiuto. "Probabilmente le ha fatto terra bruciata con il resto della compagnia" azzarda l'avvocato Roberto Picchio, zio di Carolina. Il 12 novembre la ragazza è a una festa. L'ex fidanzato non c'è, ma ci sono i suoi cinque amici. Carolina beve sino a ubriacarsi. I cinque la mettono in mezzo, la raggiungono in bagno dove lei sta vomitando. Le fanno proposte oscene, approfittano del suo stordimento. E filmano tutto con il cellulare. Il video è su Facebook poche ore dopo. E per Carolina è l'inizio del calvario. La sera del 5 gennaio il padre l'accompagna ai giardini dove si ritrova la compagnia. Potrebbe tornare a casa a mezzanotte, ma dopo venti minuti telefona al padre perché la vada a prendere. Si chiude in camera. Paolo Picchio crede che stia studiando, lo svegliano i carabinieri: "Sua figlia dov'è?". Lui indica la stanza di Carolina, ma quando entra trova solo una finestra aperta. Ora i sei piccoli aguzzini hanno un nome. "Sapere che cosa le hanno fatto - dice Leite Colla, la madre - è come riaprire un ferita che non si era ancora chiusa ". Talita, la sorella, ha scritto ai sei: "Spero che la vostra coscienza, se ne avete una, non vi lasci in pace". Naturalmente su Twitter.



Il caso di Andrea Natali - Vercelli (fonte wikipedia)

Nel settembre del 2015 si toglie la vita a soli 26 anni il giovane carrozziere Andrea Natali di Borgo D'Ale, vicino Vercelli. Tutta colpa del cyberbullismo di cui è stato una delle tante vittime.

Si è impiccato al soffitto nella sua abitazione, non ne poteva più di essere preso in giro. Tutto ha inizio il 22 Ottobre 2013. Andrea torna a casa dal lavoro fuori di senno in preda ad una grave crisi di nervi. Non ha voluto più tornare in carrozzeria per la paura di trovarsi davanti i suoi colleghi di lavoro che lo tormentavano continuamente. Solo una persona era stata indagata. Non usciva più solo da casa, voleva essere sempre accompagnato perché aveva paura di essere schernito dalla gente del paese che aveva visto tutto. Nel 2014 ha subito altri atti di cyberbullismo, è stato preso e gettato nel cassonetto della spazzatura con una busta in testa. Mentre lo deridevano filmavano tutto, per poi postarlo su una pagina Facebook, creata appositamente, visibile a tutti. Secondo gli psicologi Andrea era esasperato, era sprofondato nella depressione più nera. Grazie all'aiuto dei suoi genitori e della sua psicologa, è riuscito a denunciare alla polizia postale di Biella ciò che era accaduto, la quale è riuscita a rintracciare i video e le immagini postate da un suo ex collega su YouTube e Facebook ed ad eliminare la pagina. Andrea si è suicidato non riuscendo a sopportare tutto ciò che è accaduto negli anni passati, ha scelto con drammatica e rassegnata convinzione di togliersi la vita.

La psichiatra ha voluto esprimere ciò che pensava sul caso, queste sono e sue parole: "Dovremmo chiedere all'Unione Europea perché vi sia la massima libertà di denigrazione sul web. Il suicidio del ragazzo di Vercelli è un'ennesima sconfitta per tutti noi". Lo ha affermato in una nota la psichiatra Donatella Marazziti, direttore scientifico della Fondazione Brf, ricordando che "sono duecentomila i ragazzi vittima di cyberbullismo in Italia, e non sono protetti in nessun modo dalla legislazione europea". "Il cyberbullismo annienta psicologicamente le vittime - ha detto ancora Marazziti - portando a un progressivo abbattimento dell'autostima, fino a giungere alla depressione. Non vi è una politica seria di repressione e prevenzione del fenomeno: si interviene solo il giorno dopo".'


Il caso di Padova (fonte Wikipedia)

Un caso significativo è il caso di una ragazzina di Pordenone che si è buttata trenta metri più in basso lasciando solo una lettera di scuse per quell'orribile gesto, ai suoi genitori. Chiedeva aiuto, ma nessuno l’ascoltava. Ha scritto, prima di commettere quell'orribile gesto, per non essere dimenticata, per chiedere scusa ai suoi genitori, per farsi perdonare. Poi si è gettata giù, trenta metri più in basso. No, non è stato un gesto improvviso. Era programmato da tempo. Aveva mostrato la sua disperazione più volte, anche con atti autolesionistici, ma nonostante questo, non veniva presa sul serio. Tra le parole mai dette e i fatti incompiuti, lei si suicida, lasciandosi un immenso vuoto alle spalle. Muore buttandosi dalla terrazza dell’ex hotel di Palace di Borgo Vicenza a Cittadella. Per spiegare ciò che ha provato e quell'eterno senso di solitudine che l’accompagnava, la quattordicenne lascia cinque lettere. Le lettere sono semplici, parole piene di significato emotivo. Due indirizzate ai genitori, una alla nonna e le ultime ai suoi amici. Preannunciava il gesto che avrebbe commesso. Pregava di non dimenticarsi di lei. E dava una spiegazione netta del gesto, mentre ai genitori chiedeva enormemente scusa di averli delusi. L’adolescenza pian piano era diventata una prigione, la sua libertà era svanita, la sua unica pecca era stata quella di essere fragile. Lo aveva confidato solo ai suoi amici più cari, che forse non l’avevano presa sul serio. Su Ask ricorrevano spesso parole come “uccidere”, riusciva a manifestare il suo dolore solo attraverso i social. Non sapeva più dov'era la felicità, non si ricordava più dov'era nascosta. E si stupiva quando sul suo volto riusciva ad accennare un sorriso. La felicità le sembrava ormai un sogno irraggiungibile. La immaginava ormai solo come un periodo intermedio fra un male ed un altro. Cercava costantemente di nascondere la sua immagine priva di colore con la maschera di ragazza dark. Ask prima considerato come un rifugio, in seguito l’aveva tradita. Su ask ormai da mesi qualcuno le rivolgeva domande e offese. Si firmava con il nome di Amnesia. Le chiedeva continuamente foto dei tagli che si produceva sul corpo e la offendeva di continuo mettendo in evidenza il suo essere insignificante. Un puntino trasparente che cerca, fumando e bevendo, di prendere colore. Pensava che l’unico modo per essere considerata dagli altri era imitarli. In seguito alla sua morte, è sceso il gelo su tutte le case di Cittadella. La Procura di Padova ha aperto un'indagine ma non esiste un vero e proprio capo d’accusa, ci sono semplicemente degli indagati. Le accuse vanno dal maltrattamento minorile all'istigazione al suicidio.



Il caso di Amanda Todd - 
Port Coquitlam, Canada (Fonte Wikipedia)

Uno dei casi più famosi di cyberbullismo è quello di Amanda Todd. Era una ragazza di 15 anni che il 10 ottobre 2012 si è tolta la vita. Amanda Todd era vittima di bullismo e cyberbullismo. Prima di suicidarsi ha pubblicato un video su youtube in cui raccontava la sua esperienza. Durante l'adolescenza si sentiva sola quindi decise di fare conoscenze on-line creando una webcam di gruppo. Facendo conoscenze online, tutti iniziarono a lodarla, e a riempirla di complimenti, e lei, così, iniziò a sentirsi finalmente amata e meno sola. Decise di farsi fotografare il seno nudo attraverso la webcam. Un giorno, ricevette un messaggio su Facebook da un ragazzo; si trattava forse del ragazzo che l’aveva fotografata in webcam. Lui la minacciava di diffondere la sua foto col seno nudo, se non le avesse subito inviato un'altra foto ritraente un'altra parte del suo corpo. Sconvolta per la minaccia ricevuta, Amanda torna a casa in preda alle lacrime. All'alba di Natale la famiglia Todd venne informata dalla polizia che la foto di Amanda stava già circolando in rete. Amanda fu sconvolta, provò ansia, depressione e attacchi di panico. Fu un periodo cupo per lei. Un anno dopo si trasferì con tutta la famiglia, cercando di lasciarsi tutto l’accaduto alle spalle. Mesi dopo il cyberbullo ritornò. Il ragazzo che oramai non la perseguitava più, ritornò. Egli creò un falso profilo di Amanda su Facebook, il suo seno era la sua immagine del profilo. Così Amanda perse tutti i suoi amici e il rispetto. In seguito cambiò ancora scuola, riallacciò i rapporti con un suo vecchio amico, il suo amico iniziò a interessarsi a lei mentre aveva già la ragazza, con lui ebbe rapporti sessuali mentre la fidanzata era in vacanza. Amanda ingenuamente pensava che questo ragazzo ci tenesse veramente a lei. La settimana dopo l'amico, la fidanzata e altri ragazzi l'aggredirono fuori scuola. Amanda tentò il suicidio ingerendo candeggina, ma questa volta si salvò. Al ritorno dall'ospedale lesse su Facebook parole offensive riguardo al suo tentativo di suicidio. Si trasferì nuovamente in una città lontana, ma sei mesi dopo altri commenti offensivi vennero pubblicati sui social, il suo stato peggiorò nonostante prendesse anti-depressivi. Trascorse del tempo in ospedale. Poco dopo fu trovata senza vita nella sua camera. La ragazza si sarebbe impiccata nella sua camera da letto.

 

La storia di Flavia: dal bullismo e cyberbullismo a una serenità ritrovata - (Fonte: SKUOLA.NET 06/02/2017)

Flavia Rizza è una ragazza che è stata vittima dei bulli in rete e online, e che oggi combatte contro queste forme di violenza portando la sua storia in tutta Italia come testimonial di "Una Vita da Social", campagna itinerante per il corretto uso di internet della Polizia di Stato. Nella sua lettera aperta, racconta la sua esperienza e invita tutte le vittime a non chiudersi nel silenzio.

"Sono Flavia, ho 18 anni e sono al quinto anno del liceo delle scienze umane. 

Qualche anno fa, dalla terza elementare fino alla prima metà del primo liceo, sono stata bersaglio di bullismo e cyberbullismo: prima il mio bulletto e il suo gregge di pecoroni che lo supportava (alle volte anche inconsapevolmente) mi disturbavano con prese in giro sul mio aspetto fisico (piccolo dettaglio omesso: soffro tuttora di un'obesità grave, ma non è un valido motivo per prendermi in giro) oppure mi rompevano tutti i materiali di scuola come quaderni e penne. 

Al passaggio alle scuole medie la cosa non cambiò di molto perché quel ragazzino che tanto si era abituato al rito di infastidirmi era nella mia stessa classe e, con l'aiuto di alcuni ripetenti, per un anno buono mi disturbò non solo a parole ma anche con atti fisici quali percosse oppure bruschi spintoni in mezzo alla strada mentre passavano le automobili o per recuperare il mio zaino. Più volte ho rischiato di finire male. L'ho detto ai miei genitori che mi davano fastidio e che preferivo tornare da sola oppure che mi venissero a prendere loro sotto scuola. Loro non mi sopportavano anche perché io andavo bene a scuola e mi piaceva parlare con i professori; per loro ero una "lecchina" che cercava di piacere ai prof per ottenere i voti alti. Io cercavo solo una conferma da parte degli adulti: io andavo bene, non nella scuola ma come umano, nel mio essere me. 

L'anno successivo si passò dal bullismo al cyberbullismo. Due mie compagne di classe, in un momento in cui io ero girata di spalle alla classe per parlare con un professore, mi hanno scattato una foto che successivamente è stata postata sui social network (nuovo dato: io non avevo alcun profilo, né un computer o un telefono in mio possesso). Una mia professoressa se ne accorse e intervenne nel minor tempo possibile. Se ne parlò sia con i genitori, sia con noi ragazzi e anche questa volta la questione si risolse nel modo migliore. L'anno passò velocemente e in un batter d'occhio mi ritrovai catapultata in terza media e a Natale mi venne regalato un netbook da utilizzare per redigere la mia tesina dell'esame. Subito mi feci un indirizzo email e con il permesso dei miei creai un account su Skype per sentire i miei parenti e mi collegai anche con alcune mie compagne di classe. Proprio da questo account e proprio da una di quelle compagne venni a conoscenza, in primavera appena iniziata, che qualche spiritoso si spacciava per me su Facebook da chissà quanto tempo e che questo profilo parlava male di me e delle persone a cui tenevo di più. Con un bel lavoro di squadra recuperammo le chat e mio padre scrisse a questo fantomatico profilo di eliminarsi entro un certo tempo per non incorrere in una denuncia. Il profilo sparì e i colpevoli vennero fuori. Se ne parlò ancora a scuola, perché alla fine cambiavano i carnefici ma non la vittima... 

"Era una ragazzata, stavamo solo giocando", "Che ne sai che era per te? In fondo il tuo cognome non era scritto nemmeno nel modo corretto". Queste frasi vennero dette rispettivamente da un genitore e da uno dei colpevoli. Finì lì la questione, ma ovviamente la situazione per me era molto difficile. Io non ero molto estroversa, anzi non riuscivo a fare amicizie, ma perdere anche quelle che avevo mi ha fatto davvero molto male. Il settembre successivo iniziai il primo liceo nella scuola che tuttora frequento e verso la fine del mese spuntò un nuovo profilo che, pur avendomi creato altrettanti problemi dal punto di vista sociale, scomparve nel giro di un paio di giorni. Mi accorsi di questo profilo perché avevo aperto da poco e gli artefici del profilo falso rubarono le foto dal mio, foto che avevo postato da poco. 

Trascorsi quegli anni cercando di non far notare che stavo male, io avevo bisogno di una mano perché pensavo di essere sbagliata; piansi tantissimo e molto spesso. Ringrazio ogni giorno per la vita che vivo. Ringrazio i miei genitori e tutti quelli che mi hanno teso una mano per risollevarmi sempre. Adesso ho i miei buoni amici degli scout e della scuola di teatro e la mia famiglia, la mia realtà scolastica (e parlo ancora con i prof...). Oggi vado in giro per l'Italia con la Polizia di Stato per raccontare la mia storia di ragazza vittima che ha parlato con qualcuno per farsi aiutare. Non vi dico che sia facile perché direi una bugia, ma se mai iniziate mai arrivate. Il mio consiglio è quello di parlare. Parlate se subite bullismo o cyberbullismo oppure parlate se assistete o siete a conoscenza di questi atti. Io oggi non ho più paura dei miei bulli e sto bene per il semplice fatto di essere unica e irripetibile proprio come ognuno di voi.”